lunedì 30 gennaio 2012

Anharra



Signori, giù la maschera! In Urania Millemondi del febbraio 2012 (sotto il titolo riassuntivo di Due mondi oltre la soglia) è finalmente apparsa la terza parte del ciclo "I Canti di Anharra", opera di un certo J.P. Rylan.

Si intitola L'eredità di sangue, e segue nell'ordine Il trono della follia e Il santuario delle tenebre.
Ora, essendo J.P. Rylan null'altro che un nom de plume del vostro affezionato scrittore, ed avendo questa operina vissuto innumerevoli vicissitudini editoriali prima di giungere a compimento, mi sembra giusto spenderci qualche parola esplicativa. Si tratta infatti di un racconto per certi aspetti abbastanza diverso dal resto, un qualcosa che potrebbe essere definito genericamente un fantasy.

Ma prima di addentrarmi in un minimo di illustrazione della cosa, due parole sul perché dello pseudonimo. Non è che ci sia dietro un gran mistero: la prima parte uscì in un anno in cui per motivi del tutto fortuiti erano apparsi altri due titoli a mia firma. E poiché il troppo stroppia anche in romanzeria, con l'editore si convenne di affidare questa a un sobrio anonimato. Anonimato che però durò soltanto lo spazio di un mattino, visto che subito Il trono della follia venne debitamente rubricato nell'Archivio delle Fantascienza del compianto Vegetti con tanto di attribuzione esatta. A questo punto mi sembrava inutile continuare nel gioco, ma tant'è, J.P. Rylan ormai viveva di vita propria e bisogna tenerselo.

Veniamo invece alla sostanza: dicevo delle vicissitudini editoriali. La storia di Anharra è infatti stata sballottata qui e là editorialmente peggio di una nave da crociera, passando dalla collana Omnibus a Epyx e poi a Urania Epyx e infine a Urania Millemondi. Poiché La storia fa perno su un'antichissima maledizione, viene da pensare che in qualche modo i personaggi si siano vendicati del cumulo di orrendi comportamenti che mi sono divertito ad attribuire loro. Ma pazienza, habent sua fata libelli. Se c'è qualche lettore che per caso o per ostinazione è riuscito a seguirne fin qui le vicende, magari un'idea del suo senso generale se la sarà fatta. Per tutti gli altri, e comunque a futura memoria (perché si sa, l'orizzonte dello scrittore è quello dei secoli venturi) ecco qui di cosa si tratta.

I canti di Anharra sono una specie di poema in prosa. Sì, proprio quel nobile e desueto genere letterario che piaceva ancora ai nostri nonni. Tanto che in prima istanza pensai di scriverlo addirittura in versi, o almeno in prosa ritmica. Idea presto abbandonata per semplice viltà d'autore: a proporre oggi una cosa del genere c'è da passare per matti, e forse giustamente. Ma poiché quello che volevo era raccontare una storia che, sotto il velo di un'avventura mitica e tenebrosa, parlasse come al solito di tutt'altro. non potendo scrivere versi ho pensato al fantasy, altra forma abbastanza improbabile. Non perché io sia un grande ammiratore del genere, né per quello che si potrebbe pensare, ossia le possibilità che apre a una narrazione sconfinata. Anzi, i suoi aspetti più “imaginifici”, draghi, incanti, pietre magiche ecc. tutto sommato sono proprio i suoi elementi a mio avviso più deboli, quelli in cui è più facile cadere nella ripetitività.
È però un valido strumento di riflessione, e narrazione, su quell’altro che ci portiamo dentro, un modo per trovare risposte fantastiche a domande perfettamente razionali. Il ciclo di Anharra è nato per rispondere proprio a una domanda che mi affascina da sempre, le origini di quella sorta di eredità oscura che segna la nostra specie. Un’eredità che ci spinge a comportamenti schizofrenici, per i quali praticamente negli stessi anni viene inventata la penicillina e la bomba atomica, si costruiscono motori a reazione e campi di sterminio, uno stesso popolo regala al mondo la democrazia e costruisce un impero coloniale.
È l’eredità di Caino, si dice. Ma se nel nostro sangue ci fosse qualcosa di ancora più antico? Qualcosa che affonda in un’epoca talmente remota da precedere tutte le tradizioni, i miti, le religioni nate in epoca storica? Già Lovecraft ha tentato di dare una risposta, Lovecraft che non è solo un mio maestro ma probabilmente uno dei maestri di tutti gli scrittori di genere. Non a caso La regola delle ombre, uno dei miei romanzi, ha per titolo una voluta citazione e omaggio allo scrittore di Providence. In Anharra ho cercato di dare la mia versione dei fatti, scavando un’altra volta in questa eredità ancestrale.

Insomma Anharra è un testo che invita a più livelli di lettura. In prima battuta è un onesto heroic fantasy con forti venature horror. In un imprecisato ma remoto passato è sorta una civiltà di tipo vagamente minoico-egizio-atlantideo. Al suo interno circola la leggenda dell’esistenza di una misteriosa città celata nel cuore del deserto, Anharra. Attirati dalle ricchezze e dai segreti che vi si celano, un gruppo di avventurieri riesce a raggiungerla, liberando però le forze infernali che vi erano state confinate da un antico esorcismo. Ne segue un conflitto devastante, che distrugge completamente l’Impero. Sopravvive solo uno sparuto gruppo di superstiti, che si avvia in cerca di una nuova terra dove ricostruire una qualche forma di civiltà: portando però inconsapevolmente con sé il seme della follia e della ferocia di Anharra.

Sotto questo primo livello, in realtà il ciclo è appunto una sorta di poema in prosa a tradimento, ispirato al “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, che affronta in termini allegorici il tema della migrazione indoeuropea in Europa, e suggerisce una spiegazione fantasiosa alle sue cause (un’improvvisa mutazione climatica dovuta allo spostarsi dell’asse terrestre per l’arrivo di una cometa, secondo le teorie eretiche di Velikovsky). E proprio dal buon Federico viene l'idea centrale su cui piroetta l'intera vicenda: l'Eterno Ritorno. Anharra più che una città è un gorgo che ettira generazione dopo generazione gruppi di incauti avventurosi, costringendoli a ripetere sempre le stesse riprovevoli azioni. La narrazione si sviluppa su due piani temporali, distinti graficamente dal tondo e dal corsivo. Da un lato la vicenda mitica, in cui i fatti vengono letti in chiave magico-misteriosa dai protagonisti di allora, dall’altra la rilettura fatta da un gruppo di contemporanei che si imbattono casualmente nelle tracce dell’antico disastro. I quali si sforzano di ricondurre ciò che scoprono a un quadro razionale, cercando di inserirlo in un’idea dello sviluppo storico coerente. Ma dovendosi alla fine arrendere al fatto che c’è effettivamente qualcosa di non spiegabile nella nostra natura, che sembra davvero risalire ai demoni di Anharra.

Ma poiché il librone alla fine conta più di ottocento pagine, è ovvio che c'è finito dentro anche altro. Vedete un po' voi, se qualcuno ha coraggio.