domenica 2 dicembre 2012

Ritorno al futuro IV


Ho sperato a lungo che i tycoon di Hollywood si decidessero a mettere in cantiere un quarto episodio della simpatica saga di spaesamenti temporali di Doc e Marty.
Speranza che avevo ormai riposto in un cassetto, viste anche le tristi condizioni di salute Michael J. Fox e la non più verde età di Christopher Lloyd: quando invece per uno di quei colpi della sorte di cui è colma la vita reale mi sono ritrovato a bordo di una imprevista macchina del tempo. Proiettato di colpo proprio verso quegli anni Cinquanta, meta dei nostri eroi nel primo film.
Non è che mi sia imbattuto nella mitica De Lorean truccata al plutonio, né ho casualmente calpestato una faglia spazio-temporale: avevo semplicemente bisogno di una lampadina e sono entrato distrattamente in uno di quei negozi di cineserie che da un po' di tempo spuntano dappertutto.
Mi sono ritrovato in mezzo a una montagna di fiori di plastica, gondole di plastica, casette del presepio di plastica a imitazione del sughero, palle e festoni di Natale arcaici, alberi finti come più non si può, lucine colorate rigorosamente ante-led, vasi portafiori incredibili, addirittura macchinette per cucire i bottoni e altre per tagliarsi i capelli da soli, valanghe di giocattoli miserini, che non hanno mai visto un elfo di Babbo Natale nemmeno con il cannocchiale.
Per un attimo sono stato tentato di chedere se per caso avessero anche i famosi occhiali a raggi X e il metodo Atlas per sviluppare una muscolatura d'eccezione ma non ho osato, nel timore che magari ci fossero anche quelli.
Insomma sono fuggito via, non ci voglio tornare agli anni Cinquanta italiani, mica sono quelli di Doc e Marty, con Chuck Berry e Elvis!
Non li voglio i fiori di plastica, o che qualcuno mi rubi un'altra volta la bicicletta: se proprio devo tornare indietro allora portatemi nei Sessanta, please.

sabato 1 dicembre 2012

E visto che ci siamo...


A proposito, è uscito anche un breve racconto, a cura di un nuovo editore tanto coraggioso da avventurarsi subito in un genere considerato tradizionalmente poco commerciale.
E poiché noi siamo amici di tutti gli avventurosi sono stato contento di accettare il suo invito. Del resto La donna scarlatta compare in una collana di racconti con autori di tutto rispetto: andate a darle un'occhiata, se avete tempo. E se siete a Roma l'8 dicembre ci si può vedere con qualcuno di loro alle 16 nella sala Rubino del palazzo delle Esposizioni, a Più libri più liberi (mi pare si chiami così).
Di che tratta il racconto? Bè, di arte, d'amore, di grandi passioni, della lotta contro la morte, di speranza e disperazione...

Il cabaret del diavolo


Preso da altre futilità, ho trascurato di annunciare l'uscita di quell'antologia che vi avevo annunciato: e invece ormai da più di un mese le nuove avventure del tenente Marni sono approdate in libreria. Senza troppo clamore, in omaggio a quella istintiva riservatezza che è nel carettere del nostro eroe.
Che però, come spesso accade ai miti, si trova invece coinvolto in avventure ai limiti del credibile, e talvolta anche del ragionevole.
Di palo in frasca l'ho condotto per mano fino al settembre del '39, alle soglie di una nuova guerra: e adesso sto cominciando a pensare (ancora confusamente) che farne poi. Scendere con lui nel calderone infernale del conflitto, o invece tornare indietro verso decenni di secolo più giovani e smemorati, in cui si poteva ancora credere nel meraviglioso? E aspettare dal cielo la discesa di astronavi marziane, invece delle V2?
La tentazione è forte, forse anche per reazione ai tempi "sobri" in cui ci troviamo costretti.

mercoledì 30 maggio 2012

A proposito di e-book


Gli e-book sono al centro di un gran dibattito nel mondo editoriale,ed è facile intuire perché. Se, come tutto lascia pensare, si affermeranno anche da noi come pare stiano facendo in America è intuibile lo sconvolgimento che porteranno con sé.

Chilometri di scaffali, magazzini, tipografie, distributori, piccole e grandi librerie e insomma tutto l'ambaradan che ruota intorno agli amati vecchi libri si troverà a dover trovare rapidamente una nuova occupazione. Il vantaggio economico dell'e-book rispetto al suo fratello cartaceo è talmente enorme che niente potrà arrestarne l'ascesa. I tempi invece con cui il processo di sostituzione avverrà sono meno certi: potrebbero essere brevissimi o più lunghi se le case editrici cercheranno di puntare i piedi, ma prima o poi...

E visto che prima o poi capiterà, tanto valeva fare qualche prova. Così ho realizzato anch'io un ebook, tanto per provare, Verrà stanotte un dio oscuro.

E' un racconto abbastanza sinistro ambientato in una scuola, ai giorni nostri. Un tempo, quando la narrativa dell’orrore muoveva i primi passi, si pensava che il terrore scaturisse dall’eccezionale: la paura si nascondeva nell’ombra, nel bosco, tra le tombe di un cimitero abbandonato o nelle segrete di un castello. Oppure nel vuoto, nell’assenza. Fino a quell’assenza assoluta che è il biancore del non essere, fosse quello del dorso di Moby Dick o i ghiacci del polo in cui si perde Gordon Pym.
Se la stessa vita degli uomini era affidata alla perfetta conoscenza degli spazi limitati in cui essa si svolgeva, e al completo dominio dei pochi strumenti di cui si disponeva, era fuori di questi confini che si celava l’orrore. Ma oggi invece, in un’epoca in cui il nostro tempo si consuma in spazi apparentemente sterminati di cui in realtà non sappiamo nulla, abbiamo scoperto l’orrore del quotidiano. Perché il mondo quotidiano è proprio quello che conosciamo meno, schiacciati dall’ovvietà ripetitiva delle nostre azioni che nasconde l’ignoto e l’inatteso.
In poche cose come in quello che ci circonda si celano infatti nuovi confini sconosciuti: come per l’auto che usiamo tutti i giorni con la massima familiarità, e che si trasforma repentinamente in un essere ostile se soltanto decide di arrestarsi all’improvviso lungo la strada.
Verrà stanotte un dio oscuro esplora appunto uno di questi spazi che non sembrano nascondere alcun risvolto perverso, il mondo della scuola. Un mondo di cui tutti abbiamo avuto personale esperienza, che abbiamo attraversato per molti anni della nostra vita e che proprio per questo ci sembra di conoscere perfettamente. La scuola è la base comune di ogni nostra esperienza, è il mezzo attraverso cui il nostro linguaggio si è trasformato da semplice istinto biologico in comunicazione sociale, la nostra iniziazione alla vita. Si dice spesso che il demonio si nasconda nei particolari. È vero, ma più ancora l’orrore, il male, il demonio allignano non tanto nei particolari, quanto nelle contraddizioni. E la scuola è un universo concentrazionario di contraddizioni. Una singolare contraddizione in termini.
Pensate a cosa sia nella sua essenza, una scatola progettata per ospitare contenuti diversissimi tra di loro. Chiedete a un qualunque esperto di imballaggi, e vi risponderà che è una cosa impossibile, non esiste sulla terra un solo esempio di contenitore adatto per oggetti dalla forma, peso e consistenza diversa. Eppure nella scuola avviene proprio questo: si disegna una classe, si mettono insieme un complesso eterogeneo di diversità che si cerca di ridurre a forza a qualcosa di unico, senza ovviamente riuscirci. In una classe le diversità al massimo si nascondono, celate dietro la paura, il senso dell’ordine, le convenzioni. Le abitudini.
Ora, mi sono chiesto, che cosa avverrebbe se un insieme di diversità si trovassero improvvisamente a confrontarsi con una diversità assoluta? Se nel banco accanto non comparisse semplicemente un altro compagno, ma l’Altro? Se in un contesto che mira all’ordine, e anzi propone l’ordine e la regola come obiettivo primo dello sforzo comune, si inserisse un elemento che proprio dell’ordine fa la negazione totale, un elemento in nessun modo riconducibile a un qualsiasi elemento della nostra esperienza quotidiana?
Che è esattamente quello che avviene nel racconto. E quando si apre la porta sull’Altro non ne escono soltanto i demoni nascosti oltre la soglia, ma anche quelli che vivono dentro di noi…

Chi abbia tempo e un paio di euro da buttare lo trova qui:

http://www.amazon.it/Verr%C3%A0-stanotte-dio-oscuro-ebook/dp/B007IVQMS8/ref=sr_1_2?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1331715113&sr=1-2

per tutti gli altri restano immutati affetto e simpatia.





mercoledì 23 maggio 2012

Avventure in corso



Questa estate, probabilmente in luglio, dovrebbe uscire una nuova operetta del vostro scrittore preferito, Il cabaret del diavolo.

Nuova e seminuova allo stesso tempo, perché insieme con l'inedito romanzo breve che le dà il titolo vi compariranno anche altri sette racconti già usciti in antologie: dunque già editi in senso tecnico, ma virtualmente inediti visto il destino di rapida evanescenza che in genere si accompagna a quelle pubblicazioni.

Insomma, edite o inedite, otto avventure capitate nel primo dopo guerra al protagonista di E trentuno con la morte, l'arditissimo non-eroe fiumano Cesare Marni. Che una volta tornato alla vita civile vorrebbe finalmente dedicarsi al suo mestiere di architetto, magari puntando a quelle fatidiche mille lire al mese per tirare avanti in attesa di tempi migliori.

Ma che il Destino, nelle vesti di cinici farabutti o affascinanti donne fatali, continua invece a trascinare in eventi criminali a volte tragici e a volte grotteschi, e sempre comunque improbabili.

Al Nostro capita di assistere tra l'altro a un attentato contro Mussolini di cui nessuno si accorge. E' scenografo in un film interpretato da attori morti. Finisce in una casa da gioco che sprofonda nella laguna veneta al suono di un’aria di Puccini. Scopre un sacrificio umano nelle paludi pontine, smaschera una medium che vuole trascinare Gabriele d’Annunzio in un complotto internazionale. A Roma, in un famoso locale notturno, qualcuno lo informa che Rasputin ha aderito al Futurismo con un messaggio dall’oltretomba.

Insomma cose così, molto improbabili. Un po' come la vita di ogni giorno, se solo ci pensate.


martedì 28 febbraio 2012

Ci avete fatto caso?


Una delle macchiette più felici del grande Aldo Fabrizi, quando calcava ancora le scene dell'avanspettacolo, era il tormentone del "Ci avete fatto caso?": una serie di strofette in settenari, per lo più giocate su doppi sensi spesso scollacciati. Ne cito una a memoria, che più o meno diceva così: "Ci avete fatto caso/che quando andate al mare/appena entrate in acqua/vi scappa da ca... ntare?" e via di questo passo.
La strofetta mi è tornata in mente l'altra sera, aprendo per la milionesima volta Google. Non che tra il diffusissimo motore di ricerca ed eventuali movimenti intestinali ci sia alcuna relazione, ma per un altro motivo. Google, a parte tutto il resto, contiene una funzione preziosissima, la possibilità di accedere in rete a una massa sterminata di libri debitamente scannerizzati. Una iniziativa che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto portare prima o poi alla messa in rete di tutto lo scibile, fino a rievocare i fasti dell'antica biblioteca di Alessandria.
Un'impresa colossale, e che se portata a buon fine sarebbe stata un dono per l'umanità di valore incalcolabile, tale da far perdonare tutte le altre magagne più o meno nascoste del sistema.
Naturalmente era troppo bello per essere vero, subito si sono messi in mezzo editori e avvocati e la cosa si è circoscritta soltanto ai testi public domain, e nemmeno tutti. Ma anche così resta una funzione fondamentale per quelli che nella rete non cercano soltanto foto di donnine nude.
Ci avete fatto caso però che quando aprite Google questa funzione non la trovate? Dovete andarla a cercare cliccando su "Altro", dove appare insieme con un decina di altre cosette anche carine, ma tutto sommato sostanzialmente inutili.
Non so come la pensiate voi, ma a me sembra proprio un segno dei tempi. Tristi.

domenica 12 febbraio 2012

Anharra - 2

Una breve nota aggiuntiva, sempre a proposito delle vicissitudini editoriali di Anharra: rispetto alle edizioni cartonate, le ristampe dei primi due volumi uscite nella collana Epyx presentano un testo più completo. Con il tempo le cose migliorano, o magari si fanno solo più complicate: ma questo nel raccontare non è necessariamente un male, anzi. Le differenze nel primo capitolo, Il trono della follia, sono abbastanza marginali e cosmetiche. Ma nel secondo, Il santuario delle tenebre, esse sono più significative, con un buon capitolo in più. I volumi della serie Epyx non sono più in catalogo, ma si possono trovare ancora sulle bancarelle, il vero archivio generale della narrativa di genere. Oppure scaricare in elettronico dal sito della Mondadori, per i modernissimi che amano l'e-book.

lunedì 30 gennaio 2012

Anharra



Signori, giù la maschera! In Urania Millemondi del febbraio 2012 (sotto il titolo riassuntivo di Due mondi oltre la soglia) è finalmente apparsa la terza parte del ciclo "I Canti di Anharra", opera di un certo J.P. Rylan.

Si intitola L'eredità di sangue, e segue nell'ordine Il trono della follia e Il santuario delle tenebre.
Ora, essendo J.P. Rylan null'altro che un nom de plume del vostro affezionato scrittore, ed avendo questa operina vissuto innumerevoli vicissitudini editoriali prima di giungere a compimento, mi sembra giusto spenderci qualche parola esplicativa. Si tratta infatti di un racconto per certi aspetti abbastanza diverso dal resto, un qualcosa che potrebbe essere definito genericamente un fantasy.

Ma prima di addentrarmi in un minimo di illustrazione della cosa, due parole sul perché dello pseudonimo. Non è che ci sia dietro un gran mistero: la prima parte uscì in un anno in cui per motivi del tutto fortuiti erano apparsi altri due titoli a mia firma. E poiché il troppo stroppia anche in romanzeria, con l'editore si convenne di affidare questa a un sobrio anonimato. Anonimato che però durò soltanto lo spazio di un mattino, visto che subito Il trono della follia venne debitamente rubricato nell'Archivio delle Fantascienza del compianto Vegetti con tanto di attribuzione esatta. A questo punto mi sembrava inutile continuare nel gioco, ma tant'è, J.P. Rylan ormai viveva di vita propria e bisogna tenerselo.

Veniamo invece alla sostanza: dicevo delle vicissitudini editoriali. La storia di Anharra è infatti stata sballottata qui e là editorialmente peggio di una nave da crociera, passando dalla collana Omnibus a Epyx e poi a Urania Epyx e infine a Urania Millemondi. Poiché La storia fa perno su un'antichissima maledizione, viene da pensare che in qualche modo i personaggi si siano vendicati del cumulo di orrendi comportamenti che mi sono divertito ad attribuire loro. Ma pazienza, habent sua fata libelli. Se c'è qualche lettore che per caso o per ostinazione è riuscito a seguirne fin qui le vicende, magari un'idea del suo senso generale se la sarà fatta. Per tutti gli altri, e comunque a futura memoria (perché si sa, l'orizzonte dello scrittore è quello dei secoli venturi) ecco qui di cosa si tratta.

I canti di Anharra sono una specie di poema in prosa. Sì, proprio quel nobile e desueto genere letterario che piaceva ancora ai nostri nonni. Tanto che in prima istanza pensai di scriverlo addirittura in versi, o almeno in prosa ritmica. Idea presto abbandonata per semplice viltà d'autore: a proporre oggi una cosa del genere c'è da passare per matti, e forse giustamente. Ma poiché quello che volevo era raccontare una storia che, sotto il velo di un'avventura mitica e tenebrosa, parlasse come al solito di tutt'altro. non potendo scrivere versi ho pensato al fantasy, altra forma abbastanza improbabile. Non perché io sia un grande ammiratore del genere, né per quello che si potrebbe pensare, ossia le possibilità che apre a una narrazione sconfinata. Anzi, i suoi aspetti più “imaginifici”, draghi, incanti, pietre magiche ecc. tutto sommato sono proprio i suoi elementi a mio avviso più deboli, quelli in cui è più facile cadere nella ripetitività.
È però un valido strumento di riflessione, e narrazione, su quell’altro che ci portiamo dentro, un modo per trovare risposte fantastiche a domande perfettamente razionali. Il ciclo di Anharra è nato per rispondere proprio a una domanda che mi affascina da sempre, le origini di quella sorta di eredità oscura che segna la nostra specie. Un’eredità che ci spinge a comportamenti schizofrenici, per i quali praticamente negli stessi anni viene inventata la penicillina e la bomba atomica, si costruiscono motori a reazione e campi di sterminio, uno stesso popolo regala al mondo la democrazia e costruisce un impero coloniale.
È l’eredità di Caino, si dice. Ma se nel nostro sangue ci fosse qualcosa di ancora più antico? Qualcosa che affonda in un’epoca talmente remota da precedere tutte le tradizioni, i miti, le religioni nate in epoca storica? Già Lovecraft ha tentato di dare una risposta, Lovecraft che non è solo un mio maestro ma probabilmente uno dei maestri di tutti gli scrittori di genere. Non a caso La regola delle ombre, uno dei miei romanzi, ha per titolo una voluta citazione e omaggio allo scrittore di Providence. In Anharra ho cercato di dare la mia versione dei fatti, scavando un’altra volta in questa eredità ancestrale.

Insomma Anharra è un testo che invita a più livelli di lettura. In prima battuta è un onesto heroic fantasy con forti venature horror. In un imprecisato ma remoto passato è sorta una civiltà di tipo vagamente minoico-egizio-atlantideo. Al suo interno circola la leggenda dell’esistenza di una misteriosa città celata nel cuore del deserto, Anharra. Attirati dalle ricchezze e dai segreti che vi si celano, un gruppo di avventurieri riesce a raggiungerla, liberando però le forze infernali che vi erano state confinate da un antico esorcismo. Ne segue un conflitto devastante, che distrugge completamente l’Impero. Sopravvive solo uno sparuto gruppo di superstiti, che si avvia in cerca di una nuova terra dove ricostruire una qualche forma di civiltà: portando però inconsapevolmente con sé il seme della follia e della ferocia di Anharra.

Sotto questo primo livello, in realtà il ciclo è appunto una sorta di poema in prosa a tradimento, ispirato al “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, che affronta in termini allegorici il tema della migrazione indoeuropea in Europa, e suggerisce una spiegazione fantasiosa alle sue cause (un’improvvisa mutazione climatica dovuta allo spostarsi dell’asse terrestre per l’arrivo di una cometa, secondo le teorie eretiche di Velikovsky). E proprio dal buon Federico viene l'idea centrale su cui piroetta l'intera vicenda: l'Eterno Ritorno. Anharra più che una città è un gorgo che ettira generazione dopo generazione gruppi di incauti avventurosi, costringendoli a ripetere sempre le stesse riprovevoli azioni. La narrazione si sviluppa su due piani temporali, distinti graficamente dal tondo e dal corsivo. Da un lato la vicenda mitica, in cui i fatti vengono letti in chiave magico-misteriosa dai protagonisti di allora, dall’altra la rilettura fatta da un gruppo di contemporanei che si imbattono casualmente nelle tracce dell’antico disastro. I quali si sforzano di ricondurre ciò che scoprono a un quadro razionale, cercando di inserirlo in un’idea dello sviluppo storico coerente. Ma dovendosi alla fine arrendere al fatto che c’è effettivamente qualcosa di non spiegabile nella nostra natura, che sembra davvero risalire ai demoni di Anharra.

Ma poiché il librone alla fine conta più di ottocento pagine, è ovvio che c'è finito dentro anche altro. Vedete un po' voi, se qualcuno ha coraggio.