domenica 24 ottobre 2010

Domande e risposte.


Una cosa curiosa che capita spesso a un narratore, è che gli vengano poste domande sugli inizi del suo mestiere. Dico curiosa, perché immagino che nessuno chieda a un falegname quando e perché ha pensato di costruire la sua prima sedia, né a un capitano di mare quando abbia deciso di speronare il suo primo iceberg.

Invece sembra che lo scrittore debba in qualche modo rendere conto di come sia nata in lui questa stramberia. Da un lato la questione è lusinghiera, perché sottintende un qualche elemento di eccentricità nella cosa, dall'altro costringe ad arrampicarsi ogni volta sugli specchi per fornire una risposta almeno sensata, che non ci faccia insomma passare per narcisi o peggio per mammolette.

La difficoltà del rispondere sta in una sorta di sfasatura dello spazio-tempo, a cui in genere non si pensa.
E' infatti abbastanza ovvio, credo, che la scrittura cominci sempre dalla lettura. Ci si innamora di un certo tipo di storie e a un certo punto non se ne trovano più abbastanza, si ha la sensazione che manchi qualcosa: allora comincia a sorgere l’idea di aggiungerne noi al mucchio.

Si comincia dunque sempre dalla lettura, e prima e più si legge, prima e più viene voglia di scrivere. Ma il punto delicato è: “quali” letture? E anche, “quando”?
La lettura come tutti gli stimoli complessi, che siano sensoriali o intellettuali, costruisce la nostra visione del mondo per aggiunte e sottrazioni, ma ha i suoi tempi, legati al ciclo evolutivo. “L’isola del tesoro” ha un impatto diversissimo sul nostro immaginario a 10 anni, a 18 o a 25. Leggere Kafka a 16 anni ci avvia a una successiva interpretazione del mondo complessa, angustiata ma anche problematica. Farlo a 50 è solo un’esperienza intellettuale, intensa quanto si vuole ma che difficilmente modificherà una Weltanschauung ormai consolidata.
Il fascino ma anche il dramma della scrittura sta ne fatto che quando si comincia, in realtà si è già cominciato dieci anni prima. Io posso scrivere un romanzo di fantascienza a 20 anni soltanto se a 10 ho già letto “Dalla terra alla Luna” e a 15 Bradbury, Heinlein, Asimov ecc.

Ma che succede se non l’ho fatto? Nella maggior parte dei casi non c’è più niente da fare.
Si può tentare una terapia d’urto, costruendosi in fretta un bagaglio base di due-trecento opere fondamentali nel genere scelto (facendosi magari aiutare da qualcuno, e qui forse una buona scuola di scrittura può avere qualche utilità), stando però attenti a non affastellare materiale a caso, ma rispettando una elementare gerarchia di valore.

Mai affidarsi al supplemento libri di un quotidiano, però: è perfettamente inutile conoscere a memoria l’opera omnia di Paulo Coelho se poi si ignorano Borges o Marquez (mi è capitato con un mio alunno).
O leggere Moravia ma non Tolstoi, Pasolini ma non Manzoni, l’ultimo Strega ma non Joyce.
Insomma occorre un metodo, come in tutto. Se non altro per avere poi il piacere di violarlo e fare quello che ci pare.

lunedì 18 ottobre 2010

Ferali notizie.


Appena pochi mesi fa se ne celebrava l'ossessiva pervasività, al punto da suscitare nella critica il timore che il noir potesse fagocitare ogni altra forma, inglobando la letteratura come un Blob venuto dallo spazio nei B-movie degli anni '50.

E adesso invece corrono brutte voci sulla sua salute, lo si dà quasi sul catafalco. Non credo però che sia ancora il caso di mandare per il prete, e che il noir, e in genere la narrativa di tensione, sia prossimo a defungere.
Certo, alcuni segnali indicherebbero una qualche stanchezza, di autori e di lettori, e come per altri generi del passato anche per il noir potrebbe prima o poi suonare la campana. Ma per morire occorre il verificarsi di una condizione che a mio avviso non si è ancora realizzata, e che a suo tempo ben sintetizzò Nietzsche: Was vollkommen ward, alles Reife – will sterben!
Ossia, traducendo un po' a braccio, tutto ciò che è maturo e perfetto vuol morire.
Frase piena di suggestioni, ma anche sibillina: tanto che Karl Ernst Knodt giustamente la ricantò: Hat allein das Recht zum Sterben! Cioè "solo" ciò che è perfetto ha il diritto di morire.
Ora, affermare che il noir abbia raggiunto la sua completa maturità e perfezione mi sembra alquanto azzardato. A meno che non ci si arrenda all'idea che si tratti di un genere intrinsecamente minore, per il quale occorra accontentarsi di quello che passa il convento senza star troppo a disquisire, direi proprio che il Dante o lo Shakespeare del noir non siano ancora apparsi all'orizzonte.
Siamo ancora nella fase aurorale, in fondo è solo qualche decennio che è partita la grande ricerca. La macchina editoriale moderna è stata in grado di riempire questo spazio di migliaia di titoli, ma è una quantità che stenta ancora a farsi qualità assoluta. Questo non vuol dire che prima o poi non avvenga, e magari qualche delusione potrebbe anzi giovare, come la potatura rinvigorisce l'albero da frutto.
Allora verranno anche i capolavori, e il genere potrà estinguersi serenamente come un barbuto patriarca della Bibbia, davanti allo stuolo dei suoi discendenti.
L'importante è solo che ciò avvenga, al contrario dei timori di Eliot, con uno schianto e non con una lagna (ancora per rubacchiare qualcosa a un grande.)

sabato 16 ottobre 2010

Genere e livelli.


Mi trovo spesso a discutere dei rapporti tra narrativa di genere e letteratura "alta".

E' un tormentone a cui è praticamente impossibile sottrarsi, lettori o scrittori che ci si trovi a essere, per lo meno da un paio di secoli.

Da quando appunto la narrativa di genere è apparentemente nata. Dico apparentemente, perché sarebbe più corretto dire: da quando ha cominciato ad assumere una sua veste autonoma nel panorama narrativo.
Perché in realtà il "genere" è antichissimo, verrebbe da dire che è nato con i primi vagiti dell'umanità intorno ai fuochi delle caverne. O sotto le chiome degli alberi delle savane, a giudicare dagli ultimi ritrovamenti.
E spesso ripeto anch'io la vulgata, un po' per pigrizia e un po' per quieto vivere: il genere deriva dalla letteratura colta, ne assume temi e stilemi e poi li semplifica, li schematizza per adattarli a un pubblico di massa un po' sempliciotto e frettoloso. Un pubblico per intenderci che si troverebbe in difficoltà con il Macbeth, ma che invece può più serenamente godersi la Fiamma del peccato.
Insomma il genere sarebbe una sorta di Terzo Stato che si contrappone all'arroganza dell'Aristocrazia letteraria, le sfila la culotte e la riadatta a se stesso in forma di brache, più o meno simili.

In realtà però non sono affatto convinto che le cose stiano così. Credo anzi all'esatto contrario: il genere è il grande serbatoio, il brodo primordiale della narrazione, un deposito informe di personaggi, vicende, emozioni, da cui di tanto in tanto zampillano fuori opere che per caso o per maestria degli autori abbandonano il pentolone per assurgere ai piani nobili della cultura, attraverso un'azione di affinamento degli ingredienti.
Ma l'origine di tutto è sempre quella. E' dall'Opera dei Pupi che viene fuori il Furioso, non viceversa. Con buona pace della critica romantica e neo, il genio è ispirazione, traspirazione ma soprattutto attenzione a quello che già c'è.

domenica 10 ottobre 2010

Lo scrittore e i personaggi dello scrittore.


Ieri ero a Ravenna con Danila Coamastri Montanari ed Eraldo Baldini, ospiti di "Delitti & Detective: notte bianca per anime nere" (tra l'altro un bellissimo titolo, così chiasmatico e antifrastico) e ho sentito quella testa rossa e matta di Danila raccontare ridendo una gran verità.
Che più o meno era: "So benissimo che oggi vanno di moda gli investigatori problematici e un po' sfigati, ma io ho fatto il mio senatore charmant, ricco, nobile e in buona salute per il fatto che, dovendoci poi convivere per ore e giorni e anni, non volevo in mezzo alle scatole un qualche insopportabile menagramo."
Una gran verità, dicevo, che fa giustizia di un pregiudizio ingenuo ma largamente diffuso, che vuole gli scrittori travasino nei personaggi la loro percezione di se stessi, oppure peggio ancora un "altro" che essi vorrebbero essere.
Niente affatto, i personaggi sono soltanto quelle personae fictae che ciascuno di noi vorrebbe incontrare. E non perché necessariamente ci piacciano, ma anche perché magari ci dispiacciono, ci affascinano, ci terrorizzano, ma che comunque in qualche modo siano tanto interessanti da volerci passare insieme appunto ore, giorni e magari anni.
Al punto di voler rendere partecipi di tanto entusiasmo anche quelle povere vittime che sono i lettori, che ci perdonino.

martedì 5 ottobre 2010

Commercial - 5



Mercoledì 20 ottobre a Roma, alla libreria Koob di via Luigi Poletti 2, alle 18,30 andrò a parlare de La sequenza mirabile insieme con l'amico Luigi Milani.


Trattandosi di un racconto giallo-misterioso non verranno forniti particolari sulla sua trama, al più qualche suggestiva allusione. In compenso ci saranno molte divagazioni sull'eterna illusione di sfidare la sorte, il mondo del circo e dei circoli politici, le avventure di d'Annunzio a Fiume e una carrellata di personaggi singolari, "uommene scicche e femmene pittate".

Al termine si berranno analcolici e si sgranocchieranno patatine. Se anche venite solo per quello non mi offendo.
Magari per qualcosa in più potete vedere qui:

http://guide.supereva.it/giallo_e_noir/interventi/2010/10/la-sequenza-mirabile-di-giulio-leoni-–-un-giallo-dentro-a-un-giallo.